Ordine della Fenice Templari di Sant'Egidio


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Tecniche e macchine d'assedio

Ricerche

Le macchine d’assedio usate nel medioevo contro i luoghi fortificati erano molto simili a quelle utilizzate dal mondo greco - romano.
E’ utile pertanto fare qualche passo indietro attingendo informazioni e descrizioni da testi antichi, redatti da insigni storici e specialisti in materia.
Sulla difficile arte della poliorcetica, o tecnica dell’assedio, praticata dai Romani sono arrivate a noi descrizioni attraverso gli scritti di autori quali Giuseppe Flavio sulla Guerra Giudaica, di Appiano ed i suoi resoconti sulle Guerre Puniche, di Giulio Cesare stesso nel “ De Bello Gallico “. Forniscono una cospicua messe di informazioni trattati quali il “ De Re Militari “ di Vegezio, il “ Rerum Gestarum “ di Ammiano Marcellino, il “ De Architectura Libri Decem ” di Vitruvio o il trattato specifico di poliorcetica dell’architetto Apollodoro.
Da tali fonti
risulta evidente che i Romani furono dei maestri in questo ramo della tecnica militare. Essi applicarono, secondo lecircostanze, sia le operazioni di isolamento o blocco di una città (obsidio), sia quelle dell’assalto (repentina oppugnatio), ma svilupparono soprattutto le operazioni dell’assedio regolare e pianificato (longiqua oppugnatio).
Obsidio od obsessio Tale tecnica consisteva nel cingere la città avversaria con una linea fortificata, costituita da fortini e torri uniti da palizzate con o senza fosso e opportunamente presidiati.Repentina oppugnatio.
In tale tecnica contava soprattutto il fattore sorpresa, e si effettuava con la scalata repentina alle mura. Longiqua oppugnatio.
Il longiqua oppugnatio era la fusione degli altri due sistemi, e per il cui buon esito occorreva una solida organizzazione e disciplina, qualità e caratteristiche in cui i romani eccellevano.
L’assedio regolare e pianificato era condotto circondando la città con una linea composta di torri, palizzate, aggeri e fossi. Tale linea se cingeva solo una parte della cortina difensiva era detta loricula, e controvallatio se la racchiudeva tutta.
Completate queste opere si procedeva ad assalire uno specifico punto delle mura con sistemi e macchine appropriate.
Superare le mura nel punto designato lo si poteva fare in tre modi:
• passandovi sopra; • attraversandole a mezzo di una apertura o breccia; • passandovi sotto.

Passare sopra le mura Per superare le mura, passandovi sopra, uno dei sistemi più usati dai Romani fu quello della costruzione di un agger. L’agger consisteva in un rilevato a mò di rampa di terra e pietra, o terra e tronchi d’alberi disposto normalmente a raggiungere un’altezza pari o quasi a quelle della mura. Quando le circostanze ne sconsigliavano l’esecuzione, dopo aver riempito il fosso si
adoperavano macchine appositamente preparate, e vale a dire:
• Scale; • Tolleni.• Torri mobili; Le scale.
Le scale potevano essere di legno, di corda o di cuoio e larghe quanto bastava per farvi salire i legionari in coppia.
I Romani utilizzavano un tipo particolare di scale dette “scalae speculatorie”. Esse erano montate su carrelli e munite in sommità di una piccola piattaforma sulla quale poteva stare un legionario in osservazione.
I tolleni. Il tolleno – grus, ciconia, machina ascendes – era formato da un robusto palo infisso ortogonalmente al terreno ed alla cui sommità era unita a mò di bilancia una grossa trave. Ad un estremo di essa era assicurata un specie di grossa cesta, mentre all’altro estremo era legata una robusta fune.
Quando si caricava la macchina, la estremità portante la cesta era a terra ed in essa entravano gli assalitori, l’altra estremità era sollevata in alto; per metterla in funzione si tirava la fune e gli assalitori erano sollevati sino alla sommità delle mura.
Le torri mobili. Le torri mobili “ Turres ambulatorae o curules od oppugnatorie “ erano di legno, e per proteggerle dal fuoco si usava rivestirle con pelli fresche o con sacchi bagnati (centones) oppure per annullare le frecce con tessuti di peli di pecora , crini di cavalli (cilicia).
Per renderle più stabili e salvaguardarle dal fuoco e dai proietti, i Romani usavano guarnirle con lamine di ferro, anche se ciò avveniva assai raramente dato l’alto costodi questo materiale.
Le torri dovevano avere una altezza eguale o maggiore di quella delle torri della città assediata, erano montate su robusti carrelli di legno trainati da buoi o spostate con l’ausilio di argani. Erano a base quadrata con lato dai nove ai quindici metri e si rastremavano verso l’alto; internamente erano suddivise in più piani – due o tre – comunicanti tra loro con due scalette, una per salire ed una per discendere.. Ad ogni piano era sistemato un ponte d’assalto che poteva accostarsi alle mura abbassandosi a mezzo di pulegge (sambuca) o scorrendo su apposite guide (exostra). Spesso le torri portavano all’interno un ariete manovrabile (elepoli arietaria). Passare attraverso le mura. Per passare attraverso le mura occorreva aprirvi una breccia. Per ottenere ciò la macchina per eccellenza era l’ariete (aries) che poteva raggiungere dimensioni sino a sessantaquattro metri di lunghezza.
Agli inizi essa era semplicemente formata da una robusta e lunga trave di legno con una delle sue estremità rinforzata da una pesante massa metallica. Era portata di peso e spinta a braccia da uomini che, inferto il colpo, arretravano onde prendere lo slancio per il successivo colpo. In seguito questa macchina fu evoluta per cui il trave venne sospeso in bilico a mezzo di funi o catene ad una apposita incastellatura di legno e quindi fatto oscillare (aries pensilis).
L’incastellatura, per facilitare il trasporto, poteva essere montata su di un carrello con ruote (aries subrolatus) o su una specie di slitta a rulli (aries versatilis). L’operazione dell’apertura della breccia poteva essere molto lunga e certamente disturbata dagli assediati col fuoco e proiettili, pertanto l’ariete era solitamente montato sotto una tettoia di legno ricoperta con pelli fresche. In tal caso l’ariete, invece che sospeso, era scorrevole su rulli (testudo aretaria) e funzionava a mezzo di funi che erano tirate ora in un senso ora nell’altro da uomini riparati sotto la copertura.
L’azione dell’ariete era preceduta da un lavoro di preparazione con il quale si praticavano dei fori nel posto dove in seguito si sarebbe dovuto percuotere. Per tale lavoro preparatorio si utilizzava una specie di trapano a mano (terebra); per lo sgombero delle pietre e delle macerie smosse dall’ariete si utilizzava un ferro a forma di falce innestato su una lunga pertica. ( falx muraria)
Passare al di sotto delle mura Un ulteriore sistema per aprire una breccia era quello di scavare una galleria (cuniculum) con la quale si cercava di giungere, non individuati, alle fondazioni del muro e porvi sotto dei puntelli di legno. Questi ultimi venivano poi bruciati provocando conseguentemente il franamento della cortina in pietre superiore.
Diversamente si scavava una o più gallerie che sboccavano al di là delle mura e per mezzo di esse reparti d’assalto potevano fare irruzione nella città con lo scopo di aprire le porte e permettere l'irruzione dell'esercito amico. Accostarsi alle mura
Qualunque fosse la tecnica od il sistema scelto per superare le mura, a monte vi era da risolvere un problema non da poco: accostarsi alle mura. Preferibilmente vivi.
La testuggine. Per accostarsi alle mura i romani usavano una speciale formazione da combattimento detta testuggine (testudo). Essa era utilizzata particolarmente quando si trattava di assalire una città difesa con mura poco alte. Una testuggine era composta da venticinque legionari i quali si disponevano su cinque righe ed in formazione serrata, alzavano quindici scudi in modo da formare una specie di falda di tetto; i dieci scudi rimanenti erano impiegati, cinque da una parte e cinque dall’altra, a coprire i fianchi della formazione. I legionari della prima fila stavano ritti in piedi quelli delle successive piegavano leggermente le ginocchia in modo da ottenere un leggera pendenza; tale postura faceva sì che i proietti lanciati dagli avversari scivolassero in fuori arrecando poco danno.
I legionari che dovevano dare la scalata, saltavano sopra gli scudi ed oltrepassavano così la sommità del muro difensivo. I ripari
Per procedere al riempimento del fosso, all’innalzamento dell’agger o alla manovra delle macchine, gli assedianti si riparavano dietro pareti di vimini intrecciato o di cuoio (plutei) oppure sotto delle tettoie (vinae).
I plutei. Generalmente rettangolari, talvolta di forma absidale, erano sufficientemente larghi ed alti da poter riparare due o tre uomini in piedi. Erano montati su ruote per poterli facilmente spostare.
La vinea. Era una tettoia di legno larga circa 2,00 metri, alta 2 metri, lunga circa cinque in grado di ospitare e proteggere una ventina di combattenti. Era montata su un telaio con ruote oppure spostata su rulli di legno. Tale macchina era completata da un tetto in tavole di legno e da pareti in graticcio provviste di pelli fresche o teli bagnati. Una variante della vinea era il musculus, più robusto e dotato di sportellone nella parte anteriore che, aprendosi dal basso verso l’alto, permetteva, rimanendo coperti, di scaricare il materiale di riempimento nell’eventuale fossato oppure ripulire e spianare il percorso delle grandi torri.
Colpire le mura da lontano. E’ noto che sforzo a cui è sottoposto un arco oppure una balestra è di flessione. Del resto il peso di una freccia o di un quadrello può variare, a seconda del tipo e del materiale impiegato, dai quindici ai quarantacinque grammi. Lo sforzo di flessione era ottimale per imprimere velocità a dardi simili, ma quando occorse impiegarne di più pesanti, risultò più consone utilizzare la forza di torsione; per tale motivo
le grandi macchine da getto, erano chiamate dai Romani col nome generico di “tormenta” dal verbo latino “ torquere “, torcere.
Erano costituite essenzialmente da un robusto telaio rettangolare di legno col lato corto verticale e diviso in tre parti da travicelli sempre verticali. A ciascuno dei due scomparti estremi erano fissate, sempre verticalmente, una matassa di corde di nervi composti di tendini di animali, di budella di agnelli e capri, crini di code di cavallo o all’occorrenza capelli di donna, fortemente ritorte, e mantenute in tensione da due robusti perni di legno o di ferro. Uniti da una corda, quando quest’ultima era tirata con forza, i perni si avvicinavano fra loro per poi allontanarsi con violenza allorquando la corda era lasciata libera: qualsiasi oggetto (sasso, giavellotto, …..) posto sul percorso della corda era scagliato lontano con veemenza. La direzione del lancio era garantita da una robusta asta di legno collocata nello scomparto centrale, scanalata longitudinalmente per ospitare il proiettile, ed incernierata ad un estremo ai due travicelli, mentre all’altro estremo vi era un argano per tendere la corda ed un congegno per agganciare la medesima quando raggiungeva il massimo della tensione.
Basate su questo principio erano: • Le catapulte (catapultae); • Gli scorpioni; • Le baliste; • L’onagro;
per quanto riguarda i proiettili lanciati, gli autori antichi forniscono indicazioni discordanti: chi indica le catapulte e gli scorpioni come macchine atte al lancio sia di dardi di grande lunghezza e pietre di grande peso; chi afferma che le baliste e gli scorpioni scagliavano dardi e non pietre, e che le pietre erano scagliate dall’onagro.
Sta di fatto che tutte queste macchine, basandosi sulla forza di torsione, erano in grado di scagliare a distanza, le une con il tiro curvo, grosse pietre e materiale incendiario, le altre con il tiro teso, lunghi giavellotti.
Per quanto riguarda la gittata pare che dovesse essere di circa 65 metri, ma alcune macchine potevano raggiungere anche i 200 metri, lanciando dei proiettili con un peso oscillante tra i quaranta e i sessanta chili.
Nel Medioevo Nel Medioevo le macchine da guerra si possono raggruppare in tre tipi • Macchine da percossa; • Macchine da approccio; • Macchine da gitto.
Le macchine da percossa Le macchine da percossa, dette anche da demolizione ed utilizzate per aprire brecce nelle mura, erano identiche a quelle dei romani, ovvero arieti scoperti o coperti.
Le macchine da approccio altrettanto si dica per le macchine da approccio: i mantelleti, ripari mobili in legno, erano simili ai plutei romani, seppure più leggeri; assimilabili alle vinae erano i gatti o tettoie mobili anche se avevano la particolarità di essere formate da più tettoie di sezione decrescente, poste l’una dentro l’altra, da potersi allungare a cannocchiale; Infine le torri mobili identiche a quelle dell’antichità, e che di solito erano studiate e preparate in ogni loro particolare in laboratori lontani, successivamente i pezzi erano portati in prossimità del luogo di impiego e ivi montati. Erano utilizzate per assalire le difese dall’alto, sistema molto diffuso e molto temuto, come dimostra la progressiva crescita di mura e torri delle fortificazioni in tutto il Medioevo.
Le macchine da gitto Le macchine da gitto furono quelle che, nel Medioevo, subirono una radicale trasformazione.
Infatti, allorquando i Crociati portarono in Europa l’insieme delle conoscenze acquisite nel Medio Oriente, alcune di queste permisero di passare dal sistema di propulsione a corde ritorte a quello a contrappeso. Esse richiedevano, sia per la loro costruzione che nel loro impiego, accurate precauzioni, mezzi meccanici progrediti e calcoli evoluti.
I principali tipi di macchine da gitto erano: - I trabucchi;- I mangani - L’arcobalista;I trabucchi, i mangani,
Queste macchine consistevano in una robusta stanga di legno, che ruotava intorno ad una asse orizzontale sostenuta da montanti. Ad una delle estremità era assicurata una fionda nella cui tasca si metteva il proietto e sull’altra il contrappeso.
Dal punto di vista del funzionamento le differenze tra i tipi di macchine non erano significative, salvo il fatto che il mangano utilizzava la trazione manuale, quindi era più difficile da usare e più pericoloso. Cronologicamente il mangano precede il trabocco, introdotto nel XII secolo, quando appunto la trazione manuale fu sostituita da un contrappeso fisso migliorando l’omogeneità di lancio.
Per mettere in funzione la macchina si abbassava con delle corde e delle carrucole l’estremità con la fionda, fermandola con uno scatto a molla: liberando lo scatto il contrappeso si abbassava velocemente faceva ruotare l’asta e la fionda si metteva in azione. Opportuni arresti fermavano in tempo la corsa del contrappeso. Da esperienze e calcoli fatti risulterebbe che un trabucco con un braccio che ospita la fionda lungo sei metri e l’altro, quello del contrappeso, lungo due metri, ed il contrappeso di 3000 chilogrammi, avrebbe potuto lanciare un proietto di cento chilogrammi a settantasei metri.
Fra tutte
L’arcobalista, seppur meno potente delle altre, era la più diffusa ed utilizzata in quanto facilmente trasportabile su telai con ruote. Simile alla balista romana differiva poiché i perni congiunti dalla corda di lancio non erano infissi nella matassa di corda ritorta, ma bensì al telaio ed erano formati da lamine metalliche elastiche. Con l’arcobalista si lanciavano pesanti sbarre di ferro infuocate, materiale incendiario, ovvero un miscuglio di pece, nafta, zolfo, nitro che per il lancio veniva chiuso in barili od in recipienti di terracotta dette bombe. Sicuramente il sistema a contrappeso potenzia sia i pesi lanciati sia la gittata delle macchine, ciò nonostante, come quelle nevrobalistiche dell’antichità, anche quelle medievali potevano procurare danni solo alcune parti delle difese: abbattere merli, rompere caditoie, frantumare o bruciare parti in legno, ma nulla potevano contro robuste murature.
Procurarsi una Breccia
Trabocchi e mangani lanciavano proietti che distruggevano le parti superiori contribuendo così assai poco allo scopo principale delle operazioni: creare una breccia. A questo era demandato il lavoro di demolizione, detto di scalzamento, condotto con delle testuggini, oppure da squadre di soldati muniti di martelli e picconi che, al riparo dei mantelletti e dei gatti, scalzavano le pietre alla base della cortina difensiva. L’altro sistema era quello di scavare gallerie sotterranee o “ mine “. Metodo laborioso
e dai tempi lunghi, ma molto efficace come dimostra il fatto che fu utilizzato sino al 1700 ed oltre.
Il lavoro era eseguito dagli “
zappatori “ specialisti abili anche nel valutare dove il terreno era più facile da scavare e le condizioni topografiche vantaggiose. L’operazione iniziava al riparo delle palizzate dell’accampamento e proseguiva in direzione delle fortificazioni avversarie, fino a giungere al punto critico in prossimità delle mura. Infatti, se gli assediati nel frattempo non avevano individuato la galleria si poteva sbucare all’interno del fortilizio o della città e con molta probabilità impossessarsene.


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